PROGETTO P.A.I - Piano Assistenziale Individualizzato - Dott. Mirco Marchetti
LA VALUTAZIONE
MULTIDIMENSIONALE - Dott. Marco Piana
Dott. Mirco Marchetti
Nel nostro lavorare per servizi risiede un'ipotesi di fondo e sintetizzabile nei termini di risposta ai bisogni degli anziani erogando una serie definita di prestazioni, determinate in maniera a-prioristica, la cui validità è stabilita a monte da ordini professionali, dalla tradizione operativa, dai mansionari. Secondo questa logica, che si esprime nella determinazione di un continuum con l'esperienza passata, assistenziale e di beneficenza, la qualità di vita dell'anziano dovrebbe essere garantita dalla somma di attività standardizzate, ritenute corrette sulla base di assunti teorici, normativi, stabiliti una volta per tutte. L'agire, in base a questa logica che comunque caratterizza molte strutture, è giusto in quanto tale e non perché legato agli effetti che determina. Si controllano le procedure e l'esecuzione delle prestazioni, dal controllo delle procedure dipende essenzialmente la qualità e l'efficacia del servizio. L'utente, come si può intuire, è estromesso in quanto persona ma è oggetto di dinamiche volte al bacino d'utenza in un offerta che gioca in un tutto indistinto.
Quando si lavora per progetti, nel caso specifico si cerca di considerare i
bisogni degli anziani, le loro modificazioni nel tempo che divengono
determinanti per decidere le azioni concrete da sviluppare. Il giudizio di
queste azioni sarà strettamente legato agli effetti che sortiscono e non
giudicate aprioristicamente valide. La loro correttezza sarà consequenziale e
strettamente legata al sistema di rilevazione del bisogno che permette di
leggerli ed interpretarli nel tempo per verificare se, e in quale misura, gli
interventi e le prestazioni svolte hanno permesso di raggiungere gli obiettivi
che avevano ispirato tali azioni. Si può quindi notare come, il lavoro per
progetti, destituisca il potere burocratico e degli ordini, per ridonarlo
all'azione contingente che ha come obiettivo la promozione del benessere
dell'individuo utente.
Quando si parla di anziani istituzionalizzati e del lavoro che si compie su di
essi, occorre parlare di rafforzamento o al limite mantenimento delle capacità
residue. Se parliamo di anziani in termini di malattia, la visione pessimistica
che sottende quest'ottica ci spingerebbe verso l'abbandono e la
spersonalizzazione dell'anziano stesso.
Oggi, con la crisi del Welfare, lo Stato è costretto a riadattare gli interventi
ponendo all’attenzione l’obiettivo della cultura della qualità. L’impegno dunque
deve dirigersi verso progetti che, proponendosi il raggiungimento di certi
obiettivi abbiano in animo le verifiche procedurali e dei risultati raggiunti. E
quando, se non in un momento di crisi, possiamo augurarci un cambiamento che non
sia solo annunciato o al massimo evocato?
Per fare questo occorre che le strutture siano elastiche, pronte a rimettersi in
discussione svincolandosi dalle gabbie concettuali e procedurali in cui sono, a
tutt’oggi, ingessate, per far spazio alla sperimentazione che assuma
l’utente/cliente portatore unico di bisogni e che ridoni quindi alla persona il
ruolo di protagonista verso cui indirizzare, con movimenti sinergici, interni ed
esterni alla struttura, le nostre strategie di intervento.
Una buona progettazione deve proporsi di:
pianificare il futuro cercando di prevedere gli effetti e le eventuali
difficoltà da superare,
cercare di contestualizzare le azioni e gli obiettivi;
cercare di destinare le risorse disponibili, non a prestazioni, ma a risultati
riscontrabili e misurabili;
verificare l’azione di ciascun operatore.
Il Piano di Assistenza Individuale (P.A.I) nella sua accezione progettuale si
propone l’obiettivo di evitare di dare a tutti una risposta uguale,
generalizzata, per poter invece porre l’accento sulla personalizzazione
dell’intervento.
Va oltremodo evitato l’approccio all’anziano nei soli termini di salute/malattia
che sono estremamente riduttivi se non fuorvianti, occorre invece avere una
visione multi dimensionale dell’anziano stesso e dirigere gli interventi verso
il mantenimento o il recupero delle potenzialità residue ancora ravvedibili.
Con i P.A.I si passa da un’organizzazione lavorativa che affida agli operatori
la semplice esecuzione delle mansioni ad una in cui tutti coloro che operano
all’interno dell’organizzazione vengono responsabilizzati in vista di
determinati obiettivi. Il PAI dunque è uno strumento che ci consente la
focalizzazione dell’attenzione sull’ospite il quale, sentendosi maggiormente
considerato può incrementare quell’autostima che spesso viene invece a perdere
nel momento in cui entra in una struttura che lo considera un non individuo, uno
tra gli altri. L’attenzione quindi verso problemi emergenti, individuali,
attuando strategie non standardizzate ma contingenti e con-divise, restituisce
dignità all’anziano ma conferisce pure maggiore dignità e senso all'operare del
personale che, a diverso titolo, presta la sua professionalità all’interno della
struttura. Tutti quindi, responsabilmente, sono chiamati a dare il personale
contributo per il raggiungimento degli obiettivi che, all’interno del PAI, ci si
è prefissati di ottenere.
Come già abbondantemente sottolineato, la Persona singola nel PAI viene ad
assumere un posto centrale verso cui dirigere gli interventi del nostro lavorare
per progetti.
La persona viene posta all’attenzione di una équipe che lavora per conoscere i
suoi bisogni, la sua storia, le sue potenzialità e le sue aspettative ed in base
a queste analisi predispone interventi affinché i bisogni vengano soddisfatti e
le potenzialità residue incoraggiate e rafforzate.
Occorre dunque muoversi verso una conoscenza approfondita della persona. Porre
al centro la persona significa conoscere le sue abitudini, i suoi usi e costumi,
il suo passato, i suoi ricordi, la sua storia clinica, i suoi problemi
familiari, le sue abilità passate o ricercate pure in forma residua affinché ci
si ponga l’obiettivo di farle riemergere. Ogni intervento sarà comunque unico,
cosi come unica sarà la persona verso cui il “piano” indirizza gli interventi.
Ognuno ha una sua propria personalità, un suo carattere ben definito, una sua
storia personale, cosi che persone apparentemente simili sotto diversi aspetti,
abbisognano di strategie differenti di intervento perché interventi, valutati
buoni per alcuni, possono invece risultare inefficaci se non addirittura
controproducenti per altri. In questo modo riusciremmo a dare senso e dignità
alla persona, conferendogli l’opportunità di decidere Lei stessa in primis a
quali interventi, se la mente è ancora lucida, sottoporsi e a quali no. Cercare
di ridonare il senso del vivere all’anziano significa cercare di farlo partecipe
di un progetto che ponga obiettivi seppur minimi in un ottica che è in divenire.
Sarebbe auspicabile che, sin dall’inizio, anzi da prima che l’ospite entri in
struttura, avvenisse tra l’ospite e la struttura stessa una conoscenza
reciproca.
Ad esempio dovrebbero essere incoraggiate visite a casa del futuro ospite, in
modo da poter predisporre azioni che partano da un continuum con l’ambiente
famigliare, raccogliendo informazioni sul suo modo di vivere, informazioni sul
suo modo di stare a tavola, osservazioni su come e dove l’anziano in casa passa
il suo tempo, informazioni di carattere sanitario, osservazioni sulla sua rete
familiare, abitudini di vita…etc.
Di converso, sarebbe auspicabile che l’anziano possa essere condotto alcune
volte (2-3 volte) per un paio di ore, nella struttura che lo ospiterà. Questo
dovrebbe consentire di rendere meno traumatico il distacco dell’anziano dalla
propria abitazione e facilitare il suo ingresso in struttura. L’anziano infatti
al suo ingresso non si troverà di fronte volti sconosciuti e la paura e
l’inquietudine dovute al distacco saranno maggiormente sedate da un ingresso
progressivo.
Il ruolo del “Tutor” è fondamentale nel tipo di lavoro che ci si è riproposti di
portare avanti. Il Tutor infatti viene ad essere una figura di riferimento per
l’anziano. Questa figura, assunta da un AdB, instaura il primo contatto con
l’ospite ad iniziare dal pre-ingresso, accompagna l’ospite in vista di una
migliore integrazione nella struttura, si occuperà di quell’ospite in maniera
particolare e diverrà il Suo principale punto di riferimento. Il tutor deve
essere presente il giorno di ingresso dell’anziano nella struttura e dovrà
occuparsi di alcune attività di “fiducia”, quali il riordino del guardaroba o
l’accompagnamento a visite mediche. Tutte le osservazioni periodiche,
giornaliere, settimanali o mensili, dovranno essere riportate dal tutor in
apposite schede (Schede di osservazione) o cartelle al fine di averle
costantemente aggiornate e registrare eventuali note aggiuntive. Ogni tutor si
occuperà in maniera particolare di 3-4 ospiti, senza ovviamente trascurare gli
altri. Le schede che il tutor tiene costantemente aggiornate saranno fonte di
informazione, nel tempo, che contribuiranno in maniera fondamentale alla stesura
del PAI. Il successo dipende quindi anche dal farsi carico delle responsabilità
di ciascun tutor.Estremamente importanti risultano essere le osservazioni che si
possono compiere in relazione alle reazioni dell’anziano nei primi giorni di
ingresso in struttura. L’addetto all’assistenza di base (tutor) dovrebbe avere
uno schedario che riporti domanda quali: si alimenta? Dorme? Comunica? E’
orientato? Importante è rilevare lo stato d’animo all’ingresso nella struttura
cosi come è importante sapere se è consapevole del luogo in cui si trova.
Come ho avuto modo di rimarcare, il PAI è uno strumento che consente, da una
parte di delineare delle linee guida che si indirizzano verso un’assistenza
individualizzata e ben organizzata, mentre dall’altra si presenta come un ottimo
strumento di comunicazione organizzativa tra tutti coloro che, a vario titolo,
si occupano dell’anziano “fragile”.
E’ opportuno, proprio per la peculiarità del PAI di prescindere
dall’osservazione, far passare una ventina di giorni dall’ingresso dell’ospite
in istituto. Questo per dar modo e tempo al Tutor di compilare in maniera
attendibile le schede con indice Barthel.
Trascorso tale periodo è opportuno fissare l’incontro per redigere il PAI.
A questo punto è opportuno introdurre il VMD strumento che consente la
valutazione dell’anziano ospite da un punto di globale.
Il disegno portato avanti in sede parlamentare nel gennaio del 1992 dal POSA
(Progetto Obiettivo Salute dell’Anziano) e divenuto parte integrante del Piano
Sanitario Nazionale, determinava le linee guida ministeriali miranti ad
uniformare le direttive regionali in modo da arrivare gradualmente a livello
nazionale ad adottare un unico strumento di VMD.
In linea generale, la VMD si inquadra perfettamente nella direzione individuata
dal legislatore anche nella L.328/2000 che si augura una integrazione tra
l’istanza sociale e quella sanitaria. Da parte sua, il Piano Sanitario Nazionale
1998 – 2000, (L. 229/99) indicava tra le priorità per il cambiamento, una
profonda revisione organizzativa dei servizi sanitari e sociali, in modo da
realizzare un’effettiva integrazione a tre livelli: istituzionale, gestionale e
professionale. Ne è emerso che, uno dei campi in cui è maggiormente sentita la
necessità di questa integrazione è proprio quello riguardante l’assistenza
continuativa all’anziano “fragile”.
La metodologia in questione, recepita come detto dal POSA, è stata introdotta
nel nostro paese dalla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) e
richiede un approccio più complesso che per il passato, in cui si deve tener
conto non solo delle malattie, in essere o pregresse, ma anche del contesto
socio - ambientale e delle peculiarità psichiche e funzionali del paziente
anziano. Questo modo di accostarsi al problema sotto differenti punti di vista,
viene definito: Valutazione Multidimensionale.
Tutto questo presuppone un approccio multidisciplinare o multiprofessionale che
potrà dare un quadro preciso della condizione dell’anziano nella sua globalità.
Quindi, come detto, all’interno dei Piani di Assistenza Individualizzati (PAI)
si inserisce a tutto diritto la VMD, metodologia nella quale vengono
identificati, descritti e spiegati i molteplici problemi che investono
l’individuo anziano. Vengono definite le sue capacità funzionali (potenziale
residuo); viene stabilita la necessità di servizi assistenziali; viene
sviluppato un piano di trattamento e di cure, nel quale i differenti interventi
siano commisurati ai suoi specifici bisogni ed ai suoi problemi.
Il SIGG pone all’evidenza che le cure dell’anziano istituzionalizzato risultano
più efficaci quando si affrontano e si tengono in considerazione i principali
elementi che promuovono la sua fragilità in età avanzata e che sono
identificabili mediante VMD esplorando le seguenti aree:
salute fisica
stato cognitivo
stato psico-emozionale
stato funzionale
condizione socioeconomica
ambiente di vita
Abbiamo dunque nella VMD uno strumento utile che ha come obiettivo quello di
definire in modo complessivo lo stato di salute di una persona anziana.
Con il termine “valutazione” si intende porre l’accento su un’analisi accurata
della capacità funzionali e dei bisogni che la persona anziana presenta a vari
livelli, livelli che possiamo riassumere:
Livello biologico e clinico (stato di salute, segni e sintomi di malattia,
livelli di autonomia, ecc..)
Livello psicologico (tono dell’umore, capacità mentali superiori, ecc..)
Livello sociale (condizioni relazionali, di convivenza, situazione abitativa,
economica, ecc..)
Livello funzionale (disabilità, ovvero capacità a compiere uno o più atti
quotidiani come lavarsi, vestirsi, salire le scale, ecc..)
Per la realizzazione della VMD è intuitivamente indispensabile il coinvolgimento
di una équipe multiprofessionale che riesca a dar risposta a tutte le domande
espresse nei Livelli sopra menzionati e che individui e con-divida gli obiettivi
che l’équipe stessa andrà a verificare, predisponendone tempi e modalità di
verifica.
L’équipe di cui ho parlato, lavorerà in situazione gruppale, seguendo il metodo
del “gruppo autocentrato sul compito”. All’interno del gruppo deve essere
inserito un “conduttore” o trainer facilitatore o animatore, che avrà il ruolo
di centrare il gruppo verso il compito per cui il gruppo operativo è stato
costituito. Il trainer, predisporrà i tempi di operatività che devono, proprio
perché il gruppo possiede un setting minimo costitutivo, essere definiti a
priori. In genere, per una buona definizione multidimensionale, possiamo parlare
di incontri della durata media di un ora e mezza, anche se va detto che, nei
primi incontri potrebbero occorrere tempi più lunghi, anche perché ciò che
caratterizza un gruppo all’inizio del suo nascere è la diffidenza reciproca,
ponendo i membri costituenti il gruppo in una situazione in cui i ruoli sono
congelati e per questo piuttosto statici. Comunque, anche per questioni
organizzative o/e di risorse, ogni contesto adatterà i tempi al fatto
contingente.
Diciamo che, un gruppo autocentrato sul compito, si muoverà verso tre direttrici
dinamiche:
Il SENTIRE, che caratterizza una fase di PRECOMPITO
Il PENSARE, che conduce al COMPITO vero e proprio
L’AGIRE, che caratterizza la fase PROGETTUALE
Senza dettagliare in maniera specifica le dinamiche che ho elencato, anche
perché, seppur a mio parere la fase gruppale assume l’aspetto di fulcro
essenziale ed operativo vero e proprio, l’esplicitazione delle dinamiche
gruppali abbisognerebbero di altra sede per essere approfondite. Va comunque
sottolineato che, nella fase del COMPITO ogni soggetto si fa penetrabile e gli
stereotipi si sgretolano. Questo aspetto sottolinea il fatto che, nel momento in
cui si avvia un gruppo di lavoro, i membri partecipanti, seppur abbiano un
compito concreto da risolvere, non possono non trovarsi di fronte a quello che
potrebbe essere chiamato sottocompito, e che è proteso a dar risoluzione a tutte
le problematiche che coinvolgono il NOI, QUI ed ORA. In pratica vi sarà un primo
momento in cui il Gruppo si dedica a sé stesso, quindi il gruppo diverrà, nella
sua accezione problematica, compito del gruppo.
Il Tempo viene prestabilito, come detto, ed entra nel setting, ed il perché
risulta abbastanza intuibile. Occorre dare un “tempo possibile”, nella
risoluzione di un problema, anche perché un compito potrebbe durare tutta la
vita, avere nuove informazioni e rischieremmo di lavorarci all’infinito. Occorre
dunque realisticamente pensare che potrebbe esserci una parte del compito che,
al momento, non viene vista.
Parti costitutive del gruppo sono, il gruppo, il trainer o facilitatore, ed il
tempo.
Questa strategia operativa, offre momenti che possiamo definire di “Formazione
permanente”. Il lavoro di gruppo è infatti diretto al “problem – solving”,
infatti, ciò che pensa e comunica un membro del gruppo, stimola negli altri idee
nuove e nuove forme di pensiero creativo (brain – storming). Questo processo,
magari lento nella fase di avvio del gruppo, dopo un po’ di tempo, porta più
velocemente ad avere soluzioni adeguate al fatto contingente. Quindi migliori
soluzioni rispetto ai bisogni che via via vengono manifestati.
Le schede con indici di Barthel, sono schede validate scientificamente. Hanno il
compito di rendere immediata la comunicazione sullo stato dell’ospite osservato
da differenti punti di vista.
Ogni assistente di base, o OTA o OSA o OSS, a seconda dei contesti, dovrà
possedere adeguata formazione, sia per ciò che concerne le tecniche di
osservazione, sia per quel che riguarda la compilazione di queste Schede di
primo livello. Per ciò che concerne i Piani di Assistenza Individualizzati (PAI)
le AdB dovranno avere in osservazione particolare uno o più pazienti (questo
ovviamente dipende dalla struttura cui il progetto si rivolge e quindi dal
numero del personale rispetto al numero dei pazienti), ed annotare il tutto
nelle schede menzionate che riferiranno lo stato dell’ospite in termini di
indici numerici. Le AdB avranno quindi a disposizione uno schedario che descrive
attraverso gli indici, lo stato funzionale del paziente (autonomo – dipendente –
totalmente indipendente), ed altre schede che faranno riferimento alla
valutazione della mobilità. La somministrazione del Mini Mental State, può
essere effettuata sempre dalle AdB, purché vengano preventivamente formate ad
una adeguata prassi somministrativa e, quindi, alla compilazione di queste
schede di primo livello.
A sua volta, pure il medico dovrà lavorare su schede ad indici Barthel, proprio
per una necessità di comunicazione e per un certo rigore scentifico cui non è
possibile sottrarsi. Il medico dunque, (medico di famiglia, o medico di medicina
generale, a seconda dei contesti) dopo aver dato conto dei dati generali
riguardante l’ospite, opererà una valutazione sul paziente per una anamnesi
clinico-farmacologica registrando le condizioni specifiche che richiedono
assistenza infermieristica. Nello specifico le schede faranno riferimento a
valutazioni sensorie e comunicative.
Infine la valutazione sociale che, sempre attraverso uno schedario compatibile,
andrà a rilevare Dati generali e domanda di intervento, l’assistenza e gli
alimenti, l’abitazione ed il reddito.
Queste figure saranno quindi chiamate, dopo aver compiuto una esaustiva
osservazione, a lavorare in équipe ed ogni membro sarà chiamato a descrivere il
paziente sotto il proprio punto di vista. Per far questo occorre fissare il
primo incontro di équipe a non prima di 20 giorni dall’ingresso in istituto del
paziente, tempo ritenuto in linea generale sufficiente affinché l’AdB, che
quindi rivestirà il ruolo di “Tutor” dell’ospite, compia una sufficiente ed
esauriente osservazione dello stesso.
L’équipe, in cui dovrebbe essere inserito pure un famigliare dell’ospite, avrà
una conoscenza pluridimensionale della persona. Quindi, con la tecnica centrata
sul compito, ed attraverso quindi un trainer, tenterà nella fase successiva alla
descrizione dell’ospite, e dopo aver individuato il potenziale residuo, di
condividere uno o più obiettivi per cui l’équipe stessa andrà a predisporre i
tempi di verifica. Il gruppo potrebbe ritenere di servirsi di professionisti
esterni, quindi deve essere circolare e aperto.
Puntando, tra gli obiettivi primari, al mantenimento dell’autonomia, mi pare
ovvio rimarcare che non secondariamente emerge l’abbattimento dei costi. Questo
sia perché, le energie vengono mirate e concentrate su un obiettivo condiviso,
sia perché i costi aumentano con l’aggravarsi della perdita di autonomia.
Posso fare un esempio pratico:
supponiamo che in un’équipe qualcuno faccia notare che il paziente sta perdendo
la funzionalità di un arto per cui fa sempre più fatica a nutrirsi da solo,
l’équipe a questo punto potrebbe ritenere utile consultare un fisiatra. Il
fisiatra, inserito momentaneamente nell’équipe, potrebbe ritenere che con un
minimo di esercizio quotidiano il paziente potrebbe riacquistare o comunque non
perdere l’autonomia. L’équipe a sua volta, condividendo l’obiettivo, predisporrà
con il fisiatra un tempo ed un metodo di lavoro e quindi un tempo di verifica.
Il paziente, se l’obiettivo sarà centrato, non avrà bisogno di qualcuno che lo
aiuti a nutrirsi.
Dott. Marco Piana
La valutazione multidimensionale è nata per cercare di
raggiungere obiettivi sia in ambito sanitario, sia in ambito psicologico e
sociale; per poter essere attuata, presuppone un valido lavoro d'équipe
all'interno della Struttura in cui si opera.
Grazie alla VMD si individuano i bisogni dell'ospite, in modo da stilare il
Piano Assistenziale Individualizzato (PAI).
Per compilare la VMD occorre riferirsi a 4 aree:
Per ognuna di queste aree, vengono effettuati dei test, che
consentono di identificare il profilo dell'ospite; questi test devono essere
effettuati nelle condizioni migliori per l'anziano, rispettandome i tempi.
Alcuni di essi non dovrebbero essere utilizzati all'ingresso dell'ospite in
struttura, ma dopo un pò di tempo, per consentire l'ambientazione della persona
e fornire parametri più validi.
Alcune delle scale che possono essere utilizzate sono:
Scala C.I.R.S. Viene assegnato un punteggio alle patologie che affliggono i diversi apparati (13). Ha una grossa pecca: non viene presa in considerazione la demenza, anche se alcuni autori la considerano come un "apparato" in più, su cui fare la valutazione. Un parametro peggiorativo è la comorbilità (vale a dire la presenza di più patologie contemporaneamente).
Scala di instabilità clinica
SCALA DI INSTABILITA' CLINICA
0 = STABILE. Senza alcun problema clinico, o con problemi che necessitano per il loro controllo di un monitoraggio clinico programmabile a intervalli >60 giorni.
1 = MODERATAMENTE STABILE. Con problemi che necessitano per il loro controllo di un monitoraggio clinico programmabile a intervalli di 30 - 60 giorni.
2 = MODERATAMENTE INSTABILE. Con problemi che necessitano per il loro controllo di un monitoraggio clinico programmabile a intervalli di più di una volta al mese ma meno di una volta alla settimana.
3 = INSTABILE. Con problemi che necessitano per il loro controllo di un monitoraggio clinico non programmabile presumibilmente una o più volte alla settimana ma non quotidiano.
4 = ALTAMENTE INSTABILE. Con problemi che necessitano per il loro controllo di un monitoraggio clinico quotidiano
5 = IN FASE DI ACUZIE. Con problemi che necessitano per il loro controllo di un monitoraggio clinico pluriquotidiano.
AREA FUNZIONALE
Vengono valutate le varie disabilità, cioè incapacità a compiere uno o più atti quotidiani. Ci si basa su alcuni concetti e aree di interesse delle attività della vita quotidiana:
Di base
Alimentazione | Self care | Mobilità | Continenza |
Lavarsi | Trasferimenti | Urinaria | |
Vestirsi | Deambulazione | Intestinale | |
Uso della toilette | Scale | ||
Uso della carrozzina |
Strumentali
Domiciliari | Extradomiciliari |
Cura della casa | Uscire di casa |
Preparazione di semplici pasti | Attraversare la strada |
Salire/Scendere dall'automobile | |
Guidare l'automobile | |
Usare i trasporti pubblici | |
Fare la spesa | |
Maneggiare il denaro | |
Telefonare |
Avanzate
Relazioni sociali |
Lavoro |
Leggere/scrivere |
Hobbies/Tempo libero |
Per valutare le effettive capacità dell'ospite a compiere degli atti e la sua
indipendenza, viene spesso utilizzato l'INDICE DI BARTHEL. Tale scheda
non dà, tuttavia, informazioni su cause e capacità di recupero, e tende a
schematizzare molto alcune informazioni importanti.
La scheda può essere così predisposta:
Cognome:________________________
Nome:__________________________ Età:_______ Sesso:________ |
|||||
Codici | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 |
IGIENE PERSONALE | |||||
FARE IL BAGNO | |||||
MANGIARE | |||||
USARE IL WC | |||||
FARE LE SCALE | |||||
VESTIRSI | |||||
CONTROLLO UR. | |||||
CONTROLLO AL. | |||||
CAMMINARE | |||||
CARROZZINA (compilare solo se incapace a camminare) | |||||
TRASFERIMENTI | |||||
Totale |
CODICE 1= Incapacità a compiere l'azione
CODICE 2= Tentativi di compiere l'azione, ma non affidabili
CODICE 3= Richiede aiuto moderato (parziale)
CODICE 4= Richiede aiuto minimo
CODICE 5= Completamente indipendente
PUNTEGGIO:
da 0 a 20 gravemente compromesso
da 21 a 60 N.A.T.
da 61 a 90 N.A.P.
da 91 a 100 autosufficiente
Occorre tenere presente che le disabilità sono peggiorate da problemi di vista,
udito e di comunicazione.
In passato si considerava solo l'aspetto cognitivo di una persona, mente ora si
dà, fortunatamente, importanza anche all'aspetto affettivo.
Per valutare la parte cognitiva, viene spesso utilizzato il Mini-Mental State
Examination (MMSE).
Per valutare l'area emozionale - affettiva, è utile il Questionario U.C.L.A.
Comprende i fattori socioambientali che influiscono sulla vita dell'ospite e
riguarda, perciò, da vicino l'ambito lavorativo dell'educatore - animatore. E'
l'ultima nata, o meglio l'ultima a essere stata considerata importante. Non sono
stati ancora definiti supporti precisi su cui basarsi; è però indispensabile che
cresca di importanza,facendo sì che le RSA impostino sempre più il proprio
servizio sulla PERSONA ANZIANA.
Si possono avere alcune indicazioni sul modo di valutare i progressi o i
regressi in questo campo sulle pagine di questo sito dedicate alle SCHEDE.